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Cinema

Hero (2002)

La suprema eccellenza consiste nel piegare la resistenza del nemico senza combattere

Sun Tzu, L’arte della guerra, III.2, trad. di Mauro Conti

Nell’arte e nel cinema d’Oriente la guerra è un’esperienza combattuta innanzitutto nella mente, la distruzione non è gratuita perché il mestiere delle armi fa convergere in sé l’ideale, l’etica e l’estetica.

Hero di Zhang Yimou (1950) coglie così tanto il lato intellettuale della lotta che sfibra e riduce d’importanza la violenza fisica mostrandola in eccesso: dopo una serie di scontri al limite, melodrammatici, evocati dalla fantasia o dal ricordo, tutto si conclude con una lezione morale al Potere, una vittoria pulitissima dove il sangue non ha bisogno di scorrere.

Il film ci riporta alla Cina delle origini: nel III secolo a.C. abbiamo sette regni in lotta tra loro ma quello di Qin ha un re (Daoming Chen) con una visione più ampia di conquista, mosso com’è dal desiderio di unire tutti gli stati sotto il suo comando.

Senza Nome (Jet Li) nel palazzo reale di Qin. Fonte: Tumblr.com

Un giorno, il re riceve a palazzo Senza Nome (Jet Li), il prefetto di una piccolissima provincia del regno che afferma d’aver ucciso i tre nemici della corona: Cielo (Donnie Yen), Spada Spezzata (Tony Leung) e Neve che vola (Maggie Cheung).

Il racconto delle loro uccisioni lo fa avvicinare sempre di più al re, arrivando addirittura a 10 passi da lui, che non permetteva a nessuno di stargli a meno di 100 passi: una cautela causata dalla paura di altri attentati dopo quello non riuscito di Spada e Neve, che peraltro sono amanti.

Il racconto di Senza Nome si rivela una bugia, perché imputa ai due guerrieri troppe bassezze d’animo e il resoconto diventa improbabile per il re.

È con due revisioni della storia, abbinate a due cambiamenti cromatici, che arriviamo alla verità: Senza Nome era in pieno accordo con i tre guerrieri che hanno concesso le loro spade come prove fasulle delle loro morti ed inscenato le rispettive disfatte di fronte a testimoni.

Il racconto in rosso della prima versione, nella Rocca di Zhao. Fonte: Tumblr.com

Tutti e quattro avevano il desiderio di uccidere il re di Qin per gli assalti ai loro regni: basti pensare che Senza Nome abbia visto i suoi genitori, cittadini di Zhao, uccisi dai soldati nemici e abbia coltivato non meno degli altri guerrieri la voglia di vendetta.

Il loro vero obiettivo però è la pace: Spada aveva già capito, durante il suo attentato, che uccidere il re non avrebbe risolto niente. In appena uno scambio di sguardi, il guerriero comprende le ragioni del monarca, il suo desiderio di unire tutti i popoli della Cina “sotto un unico cielo”.

Lo scontro tra Senza Nome e Neve immaginato in blu dall’imperatore. Fonte: Tumblr.com

Senza Nome sa in cuor suo che è Spada ad aver ragione e pur facendo la mossa di trafiggere il re, non lo ferisce neanche: lo ha già tramortito con le sue ragioni, facendogli sentire il peso delle sue azioni future per il bene del futuro stato che nascerà.

Senza Nome esce dal palazzo, circondato dalle guardie, si ferma davanti la porta principale. Il re di Qin, sotto shock, deve cedere ai consiglieri che vogliono il guerriero morto: ucciso come un criminale, l’assassino mancato avrà funerali da eroe.

Neve, che non aveva perdonato a Spada di aver rinunciato ad uccidere il re, uccide il suo amante per sbaglio, fregata dall’astuzia del suo uomo che è stanco di lottare. Più tardi, lei si ucciderà passando la spada attraverso il corpo dell’innamorato e il suo.

Nel frattempo, la Storia prosegue e nasce la Cina.

Flashback di Spada in verde. Fonte: Tumblr.com

Hero è uno dei film più complessi e selettivi di Yimou: è un kolossal wuxiapian (film d’arti marziali cinese) che sfrutta la struttura del Rashomon (1951) di Kurosawa, cioè un intreccio di confessioni ed interpretazioni di un fatto centrale, in una procedura di selezione e scarto d’informazioni.

Andiamo dal nero al bianco, dalla menzogna alla verità, passando per il rosso del falso racconto di Senza Nome, il blu della versione simulata del re ed il verde del flashback di Spada: il processo di scrematura dei fatti passati è interpretato cromaticamente e Yimou decide già in questo modo di impostare il senso di un film dove etica ed estetica non possono essere scisse.

Il nesso tra scrittura e arte della spada, importantissimo per Spada Spezzata, sta nella contrazione, nell’introiezione della forza e del significato del mezzo: è sempre un fatto di espressione ma il livello raggiunto può rendere perfino “un filo d’erba una lama affilata”.

Non ci sono più lotta né turbamento una volta che si impara, per la simbiosi con la tecnica, che mantenere la spada nel fodero è altrettanto incisivo che usarla contro intere armate.

L’ironia di Hero è questa: che la violenza sia un fatto interiore, un riassestamento della prospettiva e dell’ideale del nemico in nome del principio trainante, l’armonia tra Cielo e Terra, tra Potere e Territorio, tra Governante e Popolo.

In un film di lotte mirabolanti, eccessive e quasi inverosimili, tutto si conclude nella pace dell’ideale che passa attraverso le variazioni estetiche e di tono, i dialoghi e la recitazione melodrammatica, l’impianto da balletto eccitato, superandoli a posteriori.

Senza Nome avrebbe potuto concordare con la prima frase della Tavola Smeraldina, visto che il potere dà ordine e pace, per induzione, a ciò che domina, dà l’esempio con l’immagine che trasmette ed i segni che traccia per esprimersi: ‘È vero senza menzogna, certo e verissimo, che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare il miracolo della cosa unica’.

Scena della versione dell’imperatore. Fonte: Tumblr.com

Hero rimane per questi motivi una delle opere più affascinanti di Yimou e allo stesso tempo si sente che i compiacimenti estetici, per quanto riassorbiti dalla cornice filosofica, siano espressi in questo film come in una prova narrativa, una bozza carica fino allo spasimo, pur completa e affascinante in sé, che precede la concisione dei wuxiapian futuri.

Il feticismo delle vesti e del décor, in un contesto narrativo da kolossal, tornerà deciso ma più equilibrato in La foresta dei pugnali volanti (2004) per poi riesplodere nel melodramma turgido ed allucinato di La città proibita (2007): due gioielli di un Yimou che ha imparato a gestire storie ‘in chiave alta’ con una coesione maggiore.

A livello fotografico, il film è comunque una lezione magistrale: a voler fare una ‘critica delle varianti”, potremmo segnare facilmente i rimandi interni in fatto di campi e piani per notare le differenze e le connessioni tra le varie versioni della cospirazione e per i cinefili sarebbe una goduria.

Questo esercizio darebbe una percezione esatta del talento strutturale di Zhang Yimou e della forza del cinema orientale sulla soglia del XXI secolo, in un film immerso nella luce curata dall’australiano Christopher Doyle, prediletto di Wong Kar-Wai, sorretto da un cast d’altissimo livello. Delle riserve si possono fare, in questo caso, giusto su Zhang Ziyi nel ruolo di Luna, allieva di Spada, che non è al suo massimo: per quello bisogna rivolgersi al successivo La foresta dei pugnali volanti.

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