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Cinema

Flow

Il sottotitolo che i distributori italiani hanno dato a ‘Flow‘ (2024), ultima opera del regista, sceneggiatore e compositore lettone Gints Zilbalodis, come al solito, non aggiunge o specifica alcunché rispetto al film. Si è scritto che quello della pellicola è un ‘mondo da salvare’, mentre questo stesso mondo è l’ultima cosa da dover essere salvata: sono piuttosto le creature figlie di quella natura irrequieta a cercare di sopravvivere.

Il pianeta di ‘Flow‘ si rovescia e si ribalta, si disegna e si riscrive di continuo, per l’innalzarsi e il discendere delle acque: è un’altalena che i personaggi imparano a cavalcare, dando al film una trama che non ha intreccio quanto nodi di psicologia elementare da sciogliere.

Questo perché i protagonisti sono animali che comunicano col corpo e con i versi, al massimo dell’espressività. Gli umani sono ormai scomparsi da quella Terra che richiama la nostra solo vagamente: gli unici abitanti di quel pianeta vanno a quattro zampe o volano, ciascuno con una sua base di comunità più o meno grande. Sembrano essere gli ultimi della loro specie, che lo sconvolgimento continuo del mondo costringe a conoscersi l’un l’altro, collaborare e infine comprendersi.

Attraversiamo questo scenario con gli occhi di un giovane gatto nero, abitante solitario di una casa vuota, appartenuta ad uno scultore che amava circondarsi di statue lignee di gatti, sua unica compagnia e passione. Quando le acque minacciano di punto in bianco la sua esistenza, questo eroe felino senza nome riesce a salvarsi saltando su una barca, con all’interno un esemplare di capibara.

Un po’ seguendo la corrente, un po’ imparando a guidare la barchetta, i due incontrano e fanno salire a bordo un cane pastore giocoso, un lemure collezionista e uno splendido, magnanimo serpentario.

Il loro viaggio aiuta il gatto ‘ad uscire dal suo guscio’, aprendosi non solo di fronte alle acque sterminate in cui impara a nuotare, ma anche davanti alle altre creature, al loro carattere e alla loro capacità di lasciarlo meravigliato. Il senso del film non è quindi la corsa al salvataggio del pianeta, bello ed indifferente quanto il nostro, ma il ‘vivere con gli altri’; né ‘senza’, né ‘per’ loro, ma insieme.

Il film esplicita questo nucleo emotivo con una sceneggiatura ellittica, che stimola e allude, non imboccando mai il significato al pubblico. L’ambientazione è nuova per il protagonista quanto lo è per noi: lui esce dalla sua tana e ci fa scoprire i relitti di una Storia che non è la nostra, personaggi e e caratteri elementari, cangianti e volubili, ma sempre coerenti con la propria natura.

L’immersione in questo ambiente enigmatico, vasto, intessuto di respiro e slanci lirici, è affidata a lunghe sequenze costruite come riprese fluide in carrello o drone, con una mobilità tale da farci sentire costantemente in una soggettiva: la camera è un personaggio e noi spettatori guardiamo le immagini di Flow come se stessimo usando la visuale di un avatar.

La barca dei protagonisti. Fonte: Tumblr.com

Questo gioiello di film, poema visivo libero, tenero ed etereo, dura 81 minuti divisi in 22 sequenze, per un totale di 307 riprese. Ogni ripresa (o ‘shot‘ in originale) consta di 380 inquadrature ogni 15,8 secondi, su cui ogni animatore ha lavorato occupandosi di due secondi al giorno.

Nelle interazioni tra i personaggi mancano i dialoghi esattamente come manca uno storyboard all’origine del film: Zilbalodis ha creato ‘Flow‘ con una sequenza decisiva di riprese ‘animatic‘ prestabilite, da affidare in seguito a gruppi di animatori francesi e belgi da coordinare.

Lo sforzo tecnico è ampiamente ripagato dal risultato perché la ricerca stilistica va a servizio totale della poetica del film, senza sbavature. Già con i suoi lavori precedenti, Zilbalodis (i corti realizzati tra 2010 e 2017, così come il film ‘Away‘ del 2019) ha creato per il suo cinema un preciso nucleo tematico: la poesia nel divario tra Natura e creatura; la dissonanza armonica tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo; il viaggio inteso come unico modo possibile di vivere in un mondo che cambia e disorienta repentinamente; il tempo che dà ad ogni istante un senso fluido e crepuscolare della vita; la certezza e la meraviglia data dall’esistenza di altri mondi, altre vite totalmente differenti dalle nostra; l’ellissi nel racconto che lascia lavorare la nostra immaginazione e le nostre ipotesi sulle creature, gli spazi, le civiltà e i vissuti lontani nel tempo o nello spazio.

Flow‘ condensa questi temi, potenziati dalla musica composta dal regista e Rihards Zaļupe, con una giustezza nel tocco che alterna delicatezza e malinconia profondissime: cose necessarie per un racconto in cui il Creato è un mistero più da vivere che da spiegare esplicitamente.

La scelta di vivere il flusso con tutti i suoi pericoli spetta ad ognuno di noi: una strada potrebbe essere l’ascesi liberatoria del serpentario che si ricongiunge, per una via mistica, ad un’Origine misteriosa, lasciando il mondo e i suoi turbamenti; un’altra è rimanere nel mondo con la mobilità e la prontezza giuste, con gli occhi attenti e la sensibilità aperta a ciò che prima ci era totalmente estraneo e ci fa sentire piccoli di fronte ad una vastità da ammirare e decifrare: proprio come accade al gatto nero che ci accompagna per tutto il film e che vive tutte le emozioni possibili in un Infinito che non accetta la stasi.

Scena finale del film ‘Flow’. Fonte: Tumblr.com

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