- Questo testo ha vinto il secondo posto nella sezione Recensioni del concorso nazionale di critica cinematografica ‘Adelio Ferrero’ (VIII edizione).
In Inghilterra Ken Russell (1927-2011) è stato l’unico erede di quei geni eccentrici di Powell e Pressburger, anche se lo stacco generazionale tra la coppia della produzione ‘Archers’ ed il regista di ‘Donne in amore’ (1969) ha comportato in quest’ultimo, fin dai primi anni della sua carriera, una maggiore carica eversiva, un’aggressività più netta, dedicata all’ammirazione e all’interpretazione personalissima delle vite di grandi danzatrici, pittori, architetti e soprattutto musicisti.
L’attrazione di Russell per D. H. Lawrence, da sempre fortissima, si manifestò per la prima volta con la regia del film tratto dal romanzo ‘Donne in amore’, riscrittura del soggetto d’origine adatta alla personalità di Russell, al suo bisogno di un sentito, personale exploit nel lungometraggio narrativo, così come ai tempi della sua produzione.
Nel romanzo (e ovviamente anche nel film) si discuteva d’amore libero dalle convenzioni, del ruolo dell’uomo e della donna nella società; si raccontavano la classe alta e la borghesia in un ambiente di provincia, tra noia, passatempi edonistici e ideali frenati da un’accidia diffusissima (D’Annunzio non era così lontano).
Avendo come base la sceneggiatura di Larry Kramer, che aveva dei chiari intenti ideologici e libertari d’attualità, Russell fagocitò il soggetto originale per virtù di stile: ‘Donne in amore’ diventa memorabile proprio per la sua regia, per le atmosfere, la gestione del profilmico, l’energia degli attori.
È un film vigoroso nel descrivere la decadenza, un frutto maturo, ricco d’energia, usato per una raffigurazione tetra da natura morta d’inizio Novecento, grondante di simbolismi e pulsioni di morte. Nel racconto delle schermaglie amorose di Ursula (Jennie Linden) e Gudrun Brangwen (Glenda Jackson, premiata con l’Oscar) coi loro amanti Rupert Birkin (Alan Bates) e Gerald Critch (Oliver Reed), il regista sceglie di mostrare il loro innamoramento come sintomo di una ‘stagione degli amori’: tutto è esaltato, pieno di innuendo sessuali e il titolo, con quell’ironia crudele e goliardica tipica di Russell, sembra essere stato interpretato alla lettera e riferito ad un contesto animale.
In una simile pellicola, che somiglia ad un palazzo liberty al limite della stravaganza, immerso in luci sensuali, caldissime e ricche di penombre, i personaggi, più che parlare, solfeggiano e dettano, almeno quanto la musica, i cambiamenti continui sul piano sonoro, così come i fotogrammi decisi, le carrellate, i ralenti, gli splendidi campi lunghi nella natura inglese determinano il ritmo visivo.
La parte girata nelle Midlands è più coinvolgente di quella ambientata nelle Alpi, anche se la sequenza della morte di Gerald ha una grande forza icastica: questo perché emergono fortissimi, all’interno della vacanza delle due sorelle coi rispettivi compagni, i toni declamatori e didascalici del romanzo che già contemplava il personaggio dell’artista Loerke e l’esposizione filosofeggiante delle sue idee, quando il punto di forza della trama era nel racconto dei rapporti tra i protagonisti senza intromissioni esterne. Nondimeno, gli ammiratori di Russell possono gustare la scena della rievocazione parodistica della luna di miele in treno di Čajkovskij come presagio del film ‘L’altra faccia dell’amore’ (or: ‘The music lovers’, 1971). Questa pellicola, che presenta sempre la Jackson nel ruolo della recita appena citata, risulta essere, nella sua energia e crudeltà estreme, molto più polita ed omogenea di ‘Donne in amore’, film centrifugo quanto imprescindibile nella carriera di Russell. All’infuori del successo di scandalo dell’epoca, questo adattamento di Lawrence si staglia su un piano a sé, lontano dal romanzo, totalmente inserito nell’universo artistico di Russell diventandone per alcuni la porta d’accesso.