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Cinema

C’eravamo tanto amati

Si può dire che il cinema italiano degli anni ‘60 e ‘70 abbia dato il suo meglio confrontandosi con la Memoria in senso espanso, nel rapporto tra passato e presente. Guarda caso, questo slancio ha legami strettissimi, per un bisogno espressivo di fondo, con gli sforzi del grande cinema tedesco e giapponese nel capire i traumi della guerra e curare, dal punto di vista personale, le ferite emotive ed estetiche che il ‘nuovo mondo’ aveva inferto.

Nella conclusione della seconda guerra mondiale gli idealisti e i partigiani, sulla sponda occidentale della Cortina di ferro, si sarebbero poi accorti, con profonda amarezza, che i giochi erano già fatti. Come dice in questo film il Nicola di Stefano Satta Flores in una scena-omaggio a Vittorio De Sica, il mondo li ha cambiati mentre loro pensavano di cambiare il mondo.

C’eravamo tanto amati (1974) della commedia ha solo il travestimento ed il tono dato dalla bravura di Age e Scarpelli in sceneggiatura non deve ingannare gli spettatori più attenti: è un film annegato nella tristezza, una tragedia in sordina dove c’è ancora posto per la descrizione tenera degli affetti così come per le frecciate umoristiche, rivolte anche verso il cinema.

Nel raccontare la storia di un’amicizia andata a male, che ha dato il suo meglio durante le spedizioni partigiane rievocate in bianco e nero, Ettore Scola ricorre ad una struttura a flashback commentata (forse un po’ troppo) dai protagonisti stessi.

Essenzialmente, sceglie di raccontare con alternanze anche cromatiche il passaggio da un punto A (le imprese in montagna) ad un punto B (la delusione del dopoguerra e il tradimento di Gianni, il personaggio di Vittorio Gassman). Ne La famiglia dell’87, il suo gioiello, sceglierà invece di mostrare una progressione lineare per valorizzare anche di più la trasformazione silenziosa degli ambienti e dei personaggi.

Diversa tattica, non meno efficace, sarà usata in Brutti, sporchi e cattivi (1976) e in Una giornata particolare (1977): mostrare l’effetto della Storia, del contesto e del Tempo sui protagonisti in un lasso temporale circoscritto, rendendo evidente, per forza di caratterizzazione, ellissi e sintesi, lo stato avanzato di uno svilimento o di una degenerazione.

La risata in C’eravamo tanto amati attenuerà la tristezza ed un certo didascalismo in sceneggiatura, dove l’autore sembra intromettersi nella naturalezza dei rapporti e degli eventi. Va detto però che questo non è un problema solo di Scola ed era piuttosto diffuso tra i nostri registi per via della passione ideologica.

Una delle memorabili frasi di Romolo Catenacci. Fonte: Tumblr.com

Il commento politico più riuscito sta per ironia nella caratterizzazione del ‘Padrone’: il fantastico e greve arricchito Romolo Catenacci, un Aldo Fabrizi dell’altro mondo.

Il senso ambientale del regista regala a questo palazzinaro delle scene splendide: non si può non notare che, già nel primo confronto all’interno della villa, tra lui e Gianni ci sia già una connessione complementare, supportata dal décor come dai dialoghi.

Nel passaggio di macchina che collega Catenacci a Gianni, entrambi nelle poltrone alte e strette da anni ‘40, c’è l’impressione che il personaggio di Gassman ci stia molto meglio dentro del suo doppelgänger romanesco: premonizione gustosissima del suo futuro ruolo di Padrone.

In questa opposizione c’è tutto l’amore per il grottesco di Scola che si sfoga scegliendo un antagonista che rappresenta il peggio del ‘generone’ e che non esce mai senza il rosario: per lui è ‘come a polizza’.

E che dire della sua ultima scena, quando viene trasportato con una gru nel giardino non potendo muoversi per il suo corpo grasso e disfatto? Dopo che si avvicina a Gianni nel pergolato della nuova villa, Romolo porta a compimento la sua maledizione dell’inizio: suo genero, che ha abbracciato il denaro superando la sua furbizia per acume e calcolo, è solo come ogni ricco che si rispetti.

Ormai loro non hanno nessuno e quel che è certo è che Romolo non se ne andrà. Il suo ‘Nun Moro’ è un epitaffio per entrambi e fa anche più colpo che lo dica in uno stato che ricorda quello dell’Angelica nel finale del Gattopardo romanzo, ignorato da Visconti: quello della ‘larva miseranda’.

Nicola (Stefano Satta Flores) in tv a Lascia o raddoppia con Antonio (Nino Manfredi) all’ospedale come spettatore. Fonte: Tumblr.com

Svuotando il giusto livore per la nuova classe dirigente rappresentata da Gianni, Scola riversa semmai la sua tenerezza sull’appassionato Antonio di Nino Manfredi, cui conferisce una bontà popolare che solo questo attore poteva rendere con il calore giusto; nelle scene più tarde dedicate a Luciana (Stefania Sandrelli), provata dalle delusioni, che si riallaccia a metà anni ‘60 con Antonio, in andamento circolare, proiettando le parole non dette in un transfert succosissimo per i cinefili: infatti, la loro riconciliazione si manifesta come doppiaggio alternativo alle scene tra Kim Novak e Laurence Harvey in Schiavo d’amore (1964); infine, abbiamo il cinefilo Nicola (Stefano Satta Flores), che paga con le difficoltà e la solitudine il suo idealismo politico e cinefilo.

Durante una manifestazione, Nicola (che è anche Scola), guarda Vittorio De Sica, suo idolo, in lontananza: è l’unica figura cui abbia dedicato la propria vita con venerazione costante, per via dell’imprinting (che fu un caso anche globale) di Ladri di biciclette.

La critica al regista, reo di aver lasciato la poetica neorealista per il cinema commerciale, fu smussata da Scola in corso d’opera: ne resta il ricordo affezionato fatto da un ammiratore, che comprende le difficoltà produttive e biografiche di De Sica.

Per non parlare poi del riferimento alla scena madre della Dolce Vita nella Fontana di Trevi, con Fellini e Mastroianni, intimi del regista, che giocano a fare i divi.

Molta più ironia è invece riservata per Antonioni nelle scene in cui la moglie di Gianni, l’Elide figlia di Romolo Catenacci interpretata da Giovanna Ralli, si getta in una ‘fase Vitti’ cercando un contatto con gli oggetti: che il mitico Lucherini abbia suggerito qualche aneddoto privato dell’attrice da riferire a Scola? Può anche darsi.

Fatto sta che il fascino del film non si esaurisce nel lato critico-satirico: la fotografia di Claudio Cirillo sfrutta al massimo il fascino del bianco e nero nei brani di ricordo che precedono la transizione al colore a Piazza Caprera, quasi volesse ricordare Otello Martelli, grande operatore del nostro cinema.

I tre ex-partigiani a cena dal Re della mezza porzione. Fonte: Tumblr.com

Una sequenza per tutte è quella del ballo di Gianni e Luciana sotto l’occhio di bue, che si aprirà per tutto il film nei momenti di introspezione, con un ultimo ritorno nella scena di Elide, fantasma tenero del boom economico sull’auto sfasciata, che decreta la solitudine di Gianni non meno del padre.

Non manca qui un sorriso amaro quando lui, insensibile si suoi discorsi, non crede affatto di star parlando con lei, non sentendo neanche tristezza o un’importanza per la moglie morta: ‘Bravo ignorante! La morte sublima!’ dice lei, ‘Si vede che non hai letto il Siddartha’.

Ma la stilettata arriva dopo e non è meno efficace della scena del tuffo in piscina che apre e chiude il film: ‘Sei tu che non sei importante, Gianni. Per nessuno: neppure per te stesso. Lo eri solo per me. Perché ero stupida’.

Chiusura malinconica di un espediente assorbito dal film dopo una rappresentazione a teatro di O’Neill, che Luciana ha fatto sopportare ad Antonio dopo il primo incontro: il mondo si ferma e i protagonisti parlano tra sé, dichiarandosi buffamente o pensando in solitudine, con la luce che li coglie dall’alto.

In questo film amaro, profondamente saturnino, la felicità è un fatto di attimi, come quella di Antonio che rivede in giro per Roma Luciana o nella rievocazione entusiasta de La corazzata Potemkin da parte di Nicola a Piazza di Spagna.

Il resto, cioè il mondo che i protagonisti avrebbero voluto cambiare, si disperderà nel consumo come in un fiume in piena, esemplificato dallo sciamare di auto dalla villa di Gianni dopo la partenza di Elide.

Elide (Giovanna Ralli durante la visione di Gianni (Vittorio Gassman). Fonte: Tumblr.com


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