- Questa recensione ha vinto, nel 2013, il secondo posto nella sezione Young Adult del Premio ‘Alberto Farassino’
E’ ormai risaputo che Ian Fleming avesse creato James Bond basandosi sui suoi più accattivanti spunti autobiografici: la vita lussuosa, i viaggi, le donne, i cocktail e i vini più pregiati. Se avesse potuto seguire la serie di Bond in tutti questi anni, fatti di successi, splendori, virtuosismi e rovinose scivolate nell’auto-parodia, non sarebbe stato difficile per lui paragonare la serie ad un’annata delle più belle della sua “cantina”.
Ma se ogni buon vino che si rispetti migliora invecchiando, il più famoso servitore di Sua Maestà Britannica va avanti alla maniera di Benjamin Button: da “gigolò” stanchi e per niente convincenti si passa ad un protagonista con più ombre che luci, amatore fragile, sensibile, tagliente e killer inesorabile; i vecchi cattivi così improbabili sono stati sostituiti da terroristi elettronici sadici segnati da traumi edipici; i personaggi più opachi, tra cui Sévérine, Moneypenny e Q, elevati a figure chiave dotate di savoir faire.
Sam Mendes, maestro del dramma psicologico, si è affidato al superbo John Logan, già sceneggiatore di Sweeney Todd e Il gladiatore, per rendere al meglio nello scavo dei comportamenti e dei segreti intrisi nella storia, ricevendo gli aspetti più fulgidi da Fleming, il cinema d’azione hollywoodiano e il racconto gotico, quest’ultimo reso alla perfezione nell’ultima parte in Scozia, dove la vecchia tenuta Bond diventa un teatro epico di ricordi e impulsi primordiali stile “Cime Tempestose“, ancor più esplosivi della dinamite che distrugge il villino atavico, la cui disintegrazione, poco prima della morte del rivale, diventa lo sfogo dell’interiorità del protagonista e dei suoi più incandescenti risvolti (con sfumature alla Fassbinder e Siegel).
Figurativamente splendido, grazie alle scenografie di Dennis Gassner e la fotografia di Roger Deakins, uno dei migliori aiutanti dei Coen, funzionale agli intenti della storia e dello sguardo dell’autore, riflesso sul lato musicale dalla colonna sonora di Thomas Newman e la canzone di Adele, meritatasi l’Oscar. Ma più che un album di immagini e una mostra esemplare quanto sovversiva degli stereotipi di un genere, è un dramma interiore accattivante e sensuale con attori magnifici, che chiude un’era di svogliati blockbusters per aprire una stagione di grande stile.